L’origine, il nome
Nacque a Mongardino presso Asti il 27 ottobre 1761 dal nobile Spirito di Antonio; il nonno era venuto da S. Pons, frazione di Barcellonette sulla via che scende dall’Argentera in Francia, come è scritto nelle registrazioni del primo e secondo suo matrimonio (negli anni 1723 e 1730) nei libri parrocchiali di Mongardino.
Secondo una tradizione locale, Antonio ed i fratelli Spirito e Giovanni sarebbero venuti (verso il 1720) in Piemonte, stabilendosi rispettivamente a Mongardino, a Celle e a San Damiano, sdegnando il dominio della Francia: ad essa con la pace di Utrecht, in cambio delle valli di Fenestrelle e di Oulux, la casa Savoia aveva ceduto nel 1713 il distretto di Barcellonette che, occupato la prima volta nel 1388 dal Conte Rosso, era poi stato palleggiato per oltre tre secoli tra Piemonte e Francia.
Ma poiché anche anteriormente al 1720, in tutto il 1600, ricorrono nei libri parrochiali di Mongardino i nomi Giuberti, Giberto, Gioberti (o Giobert) e poiché Gioberti, italianamente con la “i” finale sono detti nei registri parrocchiali anche i rami collaterali di Celle e S. Damiano, non è illogico supporre che l’Antonio, residente a Barcellonette, fosse oriundo di Mongardino e qui tornato alla culla dei suoi avi.
Anche nell’atto di battesimo del futuro chimico è scritto Gioberti; fatto adulto, egli firmò le sue lettere ora Gioberti ora Giobert, e le sue pubblicazioni sempre Giobert, non sappiamo per quale ragione: può darsi vi abbia influito il ricordo della pretesa parentela creduta anche dal De Rolandis (suo amico, suo medico e primo biografo) con il famoso medico Joubert, che visse a Montpellier nella seconda metà del cinquecento e fu amico di un altro celebre medico astigiano, Leonardo Botallo; può darsi non sia che un effetto del malvezzo dialettale o francesizzante del tempo: anche il padre di Silvio Pellico, in alcune lettera al padre Incisa, conservate nel Seminario di Asti, si firma alla francese Pellicot, e vari Giubert e Giobert si leggono nei libri parrochiali di Torino fra gli ascendenti di Vincenzo Gioberti il filosofo.
Tuttavia, risalendo pei due rami genealogici fino al 1720, non si vede alcuna parentela fra il chimico ed il filosofo.
L’infanzia, i primi studi
Un solo episodio conosciamo della infanzia di Giovanni Antonio Giobert che attesta se non altro la sua perenne fede religiosa; la vigilia di S. Anna, padrona del paese, (racconta egli in una sua lettera), gli si accese fra le mani un pacco di quattro libbre di polvere pirica, che gli avvolse tutto il viso in una gran vampata, senza fargli alcun male; attribuendo l’incolumità a particolare protezione della Santa, dichiara di avere serbata per lei, durante tutta la vita, una particolare devozione.
I suoi, l’avrebbero voluto prete; non conservandosi nel Seminario di Asti i registri nominativi del tempo, non fu possibile controllare se abbia iniziato qui i suoi studi.
Certo studiò in Asti, sotto la guida, tra gli altri, di un Don Lovisolo, giudicato dai contemporanei ottimo fisico. Entra poi come “allievo” in una farmacia di Asti, e come tale passa alla farmacia Cauda di Torino ove alterna al lavoro lo studio; anzi assai presto, tra i venti e i venticinque anni, benché non ricco, a costo di chi sa quanti sacrifici, lascia completamente la farmacia per attendere unicamente ai suoi studi di chimica, con la spiccata tendenza a cercare le più pronte applicazioni della chimica all’agricoltura e alle industrie, logicissimo indirizzo pratico che sarà la fortuna per esempio sulla chimica tedesca e che, bene esaminato nei suoi scritti, potrà forse rivelare qualche merito non secondario della poliforme attività sua.
Primi scritti
Tale carattere pratico hanno subito i suoi primi scritti; altri forse saranno apparsi anteriormente sui giornali e sulle riviste del tempo; i più antichi in cui io mi sia imbattuto sono il “Saggio sulla maniera di migliorare i nosri vini” in Memorie della Società Agraria 1787, anno II, e dieci articoli nel “Giornale Scientifico Letterario e delle Arti” su argomenti diversi. Uno è la recensione di un poemetto giocoso di un Veridico Sincer Tolomeo Giulio: “Il Fodero ossia il jus delle spose degli antichi signori sulla fondazione di Nizza della Paglia” scherzosa narrazione d’una ribellione durante l’epoca feudale, che avrebbe avuto per conseguenza la fondazione di Nizza (1789 – Tomo 1° – Parte 2ª – pag. 137).
In un’altra fa una descrizione di carattere (ib. Tomo 4° – Parte 3ª – pag. 15): “Saggio sulla bonomia di un moderno misantropo” che vive “lontano dai fasti della corte … e della capitale ” felice “della conversazione libera e schietta dei rozzi contadini … amato dai figli, dai servi e dalla moglie, sarebbe in possesso d’una completa felicità; se quest’ultima circostanza non lo rendesse schiavo dei più stravaganti capricci “.
Non allude, grazie a Dio, a sè medesimo! Sua moglie, Anna Pellegrino nata a Mirafiori nel 1788, succhiava ancora il latte della mamma. In un terzo traduce dal francese un “Saggio Storico sulla Montagna del Gran San Bernardo” di Cristiano de Loges.
Sono questi, tra tutti i suoi scritti oggi noti, gli unici di carattere storico-letterario, benchè abbia sempre amato di vivo amore le lettere, simpatico uso fino a ieri di quasi tutti gli scienziati e che oggi, pur troppo, pare vada morendo.
La rivista, (che subito nell’89 è “raccolta e posta in ordine” da lui e da un dottor Carlo Giulio), l’anno seguente, cambiando formato e copertina, assume un nuovo motto da cui traspare la spiccata tendenza del Giobert per gli studi di indole pratica:”Nihil, nisi, quod prodest, carum est”. Nulla m’è caro se non ciò che giova.
Altra rivista da lui diretta (Gli Annali di Economia Rurale, Civile e domestica ossia Raccolte di Memorie ecc.) portava in fronte lo stesso concetto con le parole di Cicerone: Omnia quae a nobis geruntur non ad nostram utilitatem sed ad patriae salutem infierre debemus (Tutto quel che facciamo, dobbiamo rivolgere non a nostro vantaggoio, ma al bene della patria). E nell’introduzione ripeteva:”Il Più presiso dovere di un cittadino si è l’occuparsi per l’utilità della patria”.
Nel 1790 la Reale Società agraria di Torino aveva proposto un Quesito: Quai siano i mezzi più facili, i più sicuri ed i più economici per supplire al difetto degli ingrassi adattati alla diversa natura delle terre del Piemonte. Il Giobert ebbe il premio con le sue “Ricerche chimiche intorno agli ingrassi ed ai terreni”, trattato di cui il Carena fa elogi specie per il “corredo di chimica dottrina”.
Le tre maggiori opere
Benché non sia mio compito esaminare il valore scientifico del Giobert, non posso esimermi dal fare almeno un cenno delle tre pubblicazioni cui è principalmente legato il suo nome: quelle sulla composizione dell’acqua, sulla composizione della allumina di Baldissero e sulla produzione dell’indigo. Riassumo per le prime due dal Carena, per la terza dal De Rolandis, lasciando ad altro, di me più adatto, il compito di esaminarle e valutarle in rapporto al sapere di quel tempo.
Da oltre cinquant’anni regnava nelle scuole la teoria del tedesco Stahl, secondo il quale il flogisto o calor latente, da natura infuso in molti corpi, era la causa della combustione e d’altri fatti. Primo ne dubitò Lavoisier per il quale la teoria, insufficiente a spiegare con rigoroso criterio la combustione, la calcinazione e l’acidificazione di molti corpi, doveva ritenersi erronea. Nella discussione, accumulando prove su prove, il Lavoisier ed i suoi seguaci, i così detti Pneumatisti, sono indotti “a dichiarar semplici alcuni corpi fin allora ritenuti composti, e reciprocamente di asserire la composizione di altri sempre ritenuti semplici”, come l’acqua. In tale discussione i Pneumatisti, (dal greco pneuma, aria, perché ritenevano l’acqua composta di due gas) accumulando e coordinando ogni giorno fatti ed esperienze, creano la nuova chimica che per merito loro assorge a vera dignità di scienza.
“Così oltra monti; ma l’Italia aspettava in silenzio … mancava una voce che dicesse agli italiani che il non scegliere fra le due dottrine o scegliere male o tardi poteva togliere ad essi o dare allo straniero rilevanti vantaggi … Quella voce si alzo e fu la voce del Giobert”. Le teorie del Lavoisier egli difese fin dai primi suoi scritti; con più fortuna in quello del 1791 sulla composizione dell’acqua.
Partecipando ad un concorso bandito dalla Reale Accademia di Scienze e delle Belle Lettere di Mantova, vinse il primo premio, una medaglia d’oro, con una dissertazione sopra il quesito: “Verificare con più accurati mezzi chimici, se l’acqua sia un corpo composto di diverse arie come in oggi pensano alcuni moderni Fisico-Chimici, oppure sia un vero elemento semplice, come si è universalmente creduto per lo passato”. L’anno dopo, tradotta in francese col titolo: Examen chimique de la dootrine des Pneumatistes par rapport à la nature de l’eau, la memoria veniva letta alla Regia Accademia di Torino e pubblicata nel 1793 nei suoi atti; nel 1974 era pubblicata in italiano negli Atti dell’Accademia di Mantova.
Altri insigni chimici aveva avuto l’Italia in quel turno di tempo quali il Saluzzo, il Giannetti, Il Marozzo: secondo il Carena, segretario della Regia Accademia di Scienze e professore nella Regia Università di Torino, non poca parte hanno avuto questa ed altre opere del Giobert a convincer l’Italia “si dell’importante verità della composizione dell’acqua e si delle altre fondamentali scoperte della chimica moderna”.
La seconda sua importante opera fu quella sulla composizione dell’allumina. Era nota da tempo una biachissima terra di Baldissero presso Ivrea, ritenuta allumina quasi pura anche da valenti scienziati quali il Maquer, il Baunè, il Napione, e come tale usata in una sua fabbrica di ceramica anche dal valente chimico Gioanetti. Il Giobert si reca sul posto con l’intento di fondarvi una fabbrica di allume o solfato allumina. Ma ripetendo gli esperimenti per studiare la via più economica di produzione, trova costantemente in luogo di allume, sal catartico o solfato di magnesia, ragione per cui l’allumina di Baldissero, corretto l’errore, fu chiamata Magnesite e poi, in suo onore, Giobertite per iniziativa di due chimici francesi il Brongniart e il Beudant.
La terza sua scoperta, per allora importante, ci porta parecchi anni più innanzi, al 1813, al tempo in cui il Piemonte era unito alla Francia, e quasi tutta l’Italia occupata dai Francesi.
Il blocco continentale da Napoleone proclamato contro l’Inghilterra nel 1807, privava la Francia ed i paesi da lei occupati di molti prodotti che venivano prima dall’Inghilterra o dalle sue colonie. A porvi rimedia, si cercarono sul posto dei succedanei. Così il governo francese bandisce un concorso a premio per la produzione dell’indigo, necessario per la colorazione delle stoffe. Il premio è vinto dal Giobert col suo “Traitè sur le pastel e de l’extraction de son indigo” in cui insegnava come estrarre l’indigo dalla isatis tintoria, dei botanici, la vaud dei piemontesi.
Chiamato a Parigi, stampata l’opera nel 1813 a spese dello Stato, viene rinviato a Chieri a dirigere una scuola per l’estrazione dell’indigo.
Durante la rivoluzione francese
Non era stato questo l’unico segno di simpatia dal Giobert dato alla Rivoluzione e alla Francia. Occupato il Piemonte nel 1798, dal General Groucy, governatore di Torino, aveva accettato la presidenza di una commissione con l’incarico di surrogare con moneta metallica i famosi assignats; nel febbraio 1799 era venuto a nome del governo di Asti a raccogliere i voti per l’annessione del Piemonte alla Francia. In quell’occasione la liberalissima Francia della rivoluzione e dei diritti dell’uomo, ci lasciò liberissimi di votare pro o contro ma … ad alta voce, in pubblico, presenti le autorità; così il Giobert partiva da Asti il giorno 17, portando a Torino 1200 e più voti favorevoli all’annessione e ahimè! due soli contrari, quelli di due modesti artigiani di cui è peccato siano taciuti nei documenti del tempo i nomi che meritavano di essere eternati in una lapide d’oro.
Sopraggiunti gli austriaci, durante l’assenza di Napoleone in Egitto, il Giobert sconta una prima volta la simpatia pei francesi col carcere da cui è liberato dopo Marengo; tornati i Savoia, sconta una seconda volta il suo errore con la perdita della cattedra universitaria, che però gli fu ridata l’anno dopo.
Ultimi anni
Da allora vive sempre tranquillo, tra la scuola e le ricerche chimiche, la casa e la sua tenuta, la “Cascina Nuova” in quel di Mirafiori ove passa abitualmente le vacanze, coltiva piante rare e continua le ricerche e gli esperimenti agricoli.
Fu sempre d’una attività straordinaria e l’attività consigliava agli altri perfino come rimedio ai mali fisici: “Movetevi, cavalcate, fatevi agricoltore (scriveva ad un amico) coltivate dei fiori; dappertutto vi troverete dei piaceri. Io che non ne ho bisogno per rimedio, faccio una vita occupatissima e sempre mi trovo meglio. Quando ho cento affari, ho bisogno di cento e uno ed io lo aggiungo … Occupatissimo per gli affari miei, l’anno scorso mi sono montato un giardino botanico, quest’anno me ne sono aggiunti altri due, uno a fiori, l’altro a pipiniera. Ora vado a fare l’indaco per servire il governo e ciò con 200 giornate di beni a stretta economia e mille bestie e trenta uomini a vegliare”.
Come si vede, i suoi scritti e le sue scoperte, che oggi mutati i tempi e progredita la scienza a passi di gigante, possono aver persa importanza, gli avevano procurato una bella agiatezza che gli permetteva anche di aiutare generosamente i fratelli di Mongardino. Oltre alla sua accennata tenuta di Mirafiori, fu sua la casa in via Arsenale 17, ove sorgeva una volta un monumentino o busto in suo onore di cui si è persa ogni traccia.
Con l’agiatezza godè presto di una fama più che mediocre: già nel 1789 a soli 28 anni, era socio dell’Accademia delle Scienze di Torino, della quale fu per molti anni presidente e che gli dedicò, dopo la morte, un busto, opera del Cauda (nipote del farmacista presso cui il Giobert era stato come “allievo”) nel salone della Biblioteca Torinese; nel 1800 professore di economia rurale, arti e manifatture, nel 1802 professore di Chimica e Mineralogia e, cessata l’occupazione Francese, professore di chimica applicata alle arti e membro del Consiglio delle miniere. Tenne pure un corso privato di Chimica per gli addetti alle ambasciate straniere residenti in Torino, i quali lo avevano per ciò pregato.
Fu Segretario Perpetuo della Reale Società Agraria, fu uno dei 40 della Società Italiana della Scienza con sede prima a Verona poi a Modena, fu socio di molte e molte altre accademie scientifiche di Bologna, di Milano, di Firenze, di Bruxelles, di Jenae fin delle lontane Americhe.
Dalla politica, tornati i Savoia, si astenne: l’ammonizione inflittagli nel 1821 come sospetto di liberalismo dal tribunale che doveva, dopo i moti famosi, giudicare gli impiegati, non deve esser stata suggerita che da soverchio zelo e dal ricordo del suo passato francofilo: non risulta che ai moti egli abbia in alcun modo partecipato. Così, dopo aver pubblicate varie opere, e in riviste italiane ed estere un’infinità di articoli che non sarà facile raccogliere, dopo esser rimasto fino all’ultimo giorno al lavoro o sulla cattedra o fra le ricerche chimiche ed agricole o istruendo i capi artieri delle officine delle vetrerie, della maiolica, delle concerie e delle tintorie e promuovendo ogni specie di utili invenzioni, chiude la sua vita attivissima nella sua tenuta di Mirafiori, “sacramento extremae unctionis refectus” il 14 settembre 1834; il giorno seguente è sepolto nel cimitero dell’antica parrocchia del Lingotto dove le sue ossa andarono disperse colla costruzione di un nuovo cimitero.
Asti gli dedicò l’antica via della Maddalena ed il suo Istituto Tecnico; gli dedicò pure un busto, bellissima opera del Dini, il 17 ottobre 1869 nel corridoio a pian terreno del palazzo delle scuole, di dove quest’anno fu trasportato al primo piano, presso la presidenza dell’Istituto.
La natia Mongardino ne conserva due busti (riproduzioni di quello del Cauda) uno in gesso, dono del Cauda stesso, nella sala del Municipio, uno in bronzo di proprietà privata (riproduzione fatta dal Nelli di Roma) che ad onore del Giobert e del suo paese natio si spera di vedere presto solennemente inaugurato in luogo pubblico.